SEREGNO MEDA GIUSSANO – PROCESSO CRISTELLO: NON ERA ‘NDRANGHETA MA RIMANGONO LE ALTRE ACCUSE
SEREGNO MEDA GIUSSANO – Sedici condanne fino a 14 anni di reclusione, ma non per associazione di stampo mafioso, per gli imputati dell’ultima grossa operazione ritenuta anche l’ennesimo colpo contro la ’ndrangheta in Brianza. È la sentenza del processo con il rito abbreviato davanti al gup del Tribunale di Milano per le indagini della Direzione distrettuale antimafia culminate nell’operazione “Freccia“, eseguita a giugno 2020 dai carabinieri di Monza, che era tornata a riaccendere il faro su alcune famiglie originarie di Vibo Valentia accusate di gestire ancora le cosche radicate a Seregno dopo la scure dell’inchiesta “Infinito“.
La pubblica accusa aveva chiesto condanne fino a 20 anni di carcere, anche per associazione a delinquere di stampo mafioso per i cugini Umberto e Carmelo Cristello, Luca Vacca e Daniele Scolari. Assolti invece tutti da questa accusa, mentre sono rimaste in piedi, a vario titolo e in parte ridimensionate, quelle di traffico di droga, estorsione ed usura per l’acquisizione indebita di esercizi pubblici e la gestione del servizio di sicurezza in discoteche e locali notturni.
A 14 anni sono stati condannati i due Cristello e Igor Caldirola, a 12 anni Domenico Favasuli, a 10 anni Vacca, a 5 anni Scolari. E poi via via a scendere fino alla pena più bassa di 2 anni. “Ascolta, forse sai chi sono io, mi chiamo Cristello“, bastava secondo l’accusa per fare intendere alle vittime con chi avevano a che fare. Se non bastava intervenivano intimidazioni e violenze, precedute da tentativi di mediazioni che spesso gli uomini di ‘ndrangheta utilizzano per prendere contatto con chi vogliono prendere di mira.
La cosca era accusata di non avere mai smesso, dai tempi della prima inchiesta “Infinito“, di esercitare il controllo del territorio, in particolare questa volta fra Seregno, Meda e Giussano. Tra loro spiccava Umberto Cristello (in possesso di una dote elevata nella ‘ndrangheta conferitagli a suo tempo dal fratello Rocco, ucciso nel 2008 a colpi di pistola sotto casa a Verano), che “si avvaleva della forza di intimidazione derivante dalla sua notoria appartenenza alla ‘ndrangheta e della condizione di assoggettamento e omertà che ne deriva per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche”.
“Non basta chiamarsi Cristello per appartenere a un’associazione mafiosa“, si era difeso al processo Carmelo Cristello, sostenendo di essere già stato assolto dall’associazione mafiosa nel processo per la precedente inchiesta “Ulisse“ che lo riteneva appartenente al Locale di ‘ndrangheta di Seregno. E il gup ha accolto la tesi della difesa. Ora la Procura attende le motivazioni della sentenza per ricorrere probabilmente in appello e dimostrare che in Brianza la ‘ndrangheta esiste ancora.
( Fonte Il GIORNO – STEFANIA TOTARO )
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